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Tecnologie dell’attenzione (1): introduzione

In questa serie di articoli discutiamo alcune tra le riflessioni cardine dell’analisi di Bernard Stiegler sul nesso tra tecnologie digitali e distruzione dell’attenzione; sulle sue conseguenze per la vita individuale e collettiva.
MSA tecnologia attenzione

di Carlo Carnevale
In questa serie di articoli discutiamo alcune tra le riflessioni cardine dell’analisi di Bernard Stiegler sul nesso tra tecnologie digitali e distruzione dell’attenzione; sulle sue conseguenze per la vita individuale e collettiva. Osserviamo come le tecnologie digitali presenti, funzionalizzate dal mercato, siano uno dei fattori principali che contribuiscono alla distruzione dell’attenzione e discuteremo della meditazione come possibile terapia. Se “la vita è fatta da ciò a cui prestiamo attenzione” (De Preester, 2021), allora la capacità di mantenere l’attenzione o direzionarla più consapevolmente diventa centrale per la cura di sé. Anziché permettere alla nostra attenzione di essere dirottata dal marketing; essere responsabili di ciò che succede alla nostra attenzione potrebbe oggi meritare lo statuto di diritto, da tutelare urgentemente di fronte alla situazione attuale di mercato dell’attenzione.

Nell’attention economy, l’attenzione degli individui rappresenta forse la risorsa più preziosa per le compagnie di successo. In questa configurazione, la fornitura di capitale, forza lavoro e informazione è abbondante, mentre l’attenzione umana risulta carente. Pur essendo semplice dar via a un’attività e raggiungere consumatori, catturare la loro attenzione rimane una sfida decisiva.

Il mondo digitale, nella sua promiscuità, è il principale palcoscenico di questa continua competizione per l’attenzione dei consumatori e le crescenti capacità immersive del medium digitale non fanno che rendere questa battaglia più pervasiva. Eppure è chiaro, nonostante la favola autoindulgente del multitasking, l’attenzione ha dei limiti computazionali. “La larghezza di banda delle telecomunicazioni non è un problema, ma quella umana lo è” (Davenport & Beck, 2001). Nei termini di Herbert Simon: “Ciò che l’informazione consuma è piuttosto evidente: consuma l’attenzione dei suoi ricettori. Dunque l’abbondanza di informazione crea povertà di attenzione” (Simon, 1971).

Dalla prospettiva della massa dei consumatori (vale a dire, degli individui), tuttavia, non si tratta soltanto di una questione di allocazione efficiente della propria attenzione; si tratta sempre più di maturare la capacità di sganciarsi da ciò che vorrebbe (ed è specificamente ingegnerizzato per) irretire l’attenzione.

Ciò che esperiamo essere la “nostra vita” è prevalentemente il tempo di cui abbiamo esperienza conscia. Quello che esperiamo dipende dunque da ciò che ha accesso alla coscienza, e crucialmente, vi si accede tramite la funzione selettiva dei processi attentivi.
Per questo motivo, chi o cosa controlli la nostra attenzione ha un ascendente privilegiato su come (e di cosa) facciamo esperienza delle nostre vite coscienti.

Senza che ce ne rendiamo conto, le nostre limitate riserve attentive sono svuotate e a seguire il nostro comportamento si modifica concordemente agli obiettivi di chi carpisce la nostra attenzione; riappropriarci della nostra presenza mentale e delle nostre scelte diventa intrinsecamente legato allo sviluppo della capacità di regolare la nostra attenzione, di investirla in modo consapevole. In altre parole, di fronte alla pervasività dell’informazione nel mondo digitale e al suo utilizzo strumentale da parte del marketing, esercitare controllo sull’attenzione assume il carattere di una pratica emancipatoria.

Fonti & Approfondimenti:
T.H. Davenport, J.C. Beck, 2001, “The Attention Economy : Understanding the New Currency of Business”

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