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In primo piano - Gennaio 2024

Cos’è la coscienza?

L’appassionante e continua partecipazione dell’Uomo agli interrogativi sulla coscienza attraversa le epoche e permane pregnante nel suo significato più profondo indipendentemente dall’evoluzione dei mezzi di analisi a disposizione. Anche questo esprime l’immensità di quello spazio del possibile che è la più intima natura umana.

di Maria Vaghi

La domanda, cos’è la coscienza?, semplice nella sua enunciazione, a buon titolo appartiene ai più grandi, e talvolta misteriosi, interrogativi sui quali l’Uomo da sempre si interroga.
Provare a rispondere – come proponiamo in questa riflessione – non ha la pretesa da parte degli Autori di pronunciare pareri definitivi quanto di ritrovarci in un nutrimento reciproco di opinioni. È forse innato in noi il bisogno di argomentare, pur sapendo di confrontarci talvolta con aspetti che appare limitato avvicinare attraverso concettualizzazioni. Tuttavia è interessante e necessario farlo e questo arricchisce giorno dopo giorno il nostro viaggio di esplorazione dell’enigma umano.

Il fascino di questo percorso può essere ben riassunto dalle parole di alcuni degli Autori che hanno accettato il nostro invito.
Federico Faggin ci ricorda che il nostro futuro dipende dalla comprensione di ciò che ci rende umani all’interno di un quadro mondiale che unifica gli aspetti interni ed esterni della realtà e di come non ci sia nulla di più importante da studiare e comprendere di ciò che dà significato all’esistenza.
La Venerabile Robina Courtin ci fa riflettere su quanto il nostro potenziale – l’illuminazione della buddhità – sia la natura stessa della nostra mente.
Alexander Berzin sottolinea come comprendere che l’attività mentale si riferisce all’esperienza individuale e soggettiva di ciascuna persona ci consente di riconoscere e rispettare il punto di vista di ciascuna persona in una disputa. Comprendere le componenti che compongono un momento dell’esperienza soggettiva consente di destrutturare quel momento.(…) e che tali metodi di destrutturazione aiutano anche a capire cosa stanno vivendo gli altri e a interagire con loro in modo compassionevole.

Storicamente il dibattito sulla natura della coscienza è un viaggio anche attraverso le intricate prospettive delle dottrine dualistiche e monistiche. Le diverse visioni filosofiche che si sono sviluppate nel corso della Storia, cercando di comprendere la complessa relazione tra mente e cervello.
La Professoressa Ines Testoni, ad esempio, autrice di L’ultima nascita – Psicologia del morire e Death Education per Bollati Boringhieri, delinea chiaramente la dicotomia essenziale che si erge tra il pensiero monistico e dualistico. La prospettiva dualistica, fortemente radicata nella tradizione platonico-cartesiana, propone l’esistenza di due dimensioni autonome: la res cogitans (mente, anima) e la res extensa (materia, corpo-cervello). Tale dualismo ha dato vita a correnti filosofiche, come l’occasionalismo, il panpsichismo, il parallelismo e la teoria del doppio aspetto.
Ad esempio, l’occasionalismo, derivato dal pensiero cartesiano, sostiene che il legame tra mente e corpo sia “un’occasione voluta da Dio”, con implicazioni sulla causalità tra entità materiali e fenomeni mentali. Al contrario, il panpsichismo propone armonia tra mondo fisico e spirituale, in cui ogni entità è composta sia da natura materiale che psichica.

Queste prospettive dualistiche, che si articolano tra l’interazione e l’indipendenza di mente e cervello, hanno plasmato le discussioni epistemologiche contemporanee. Tra esse, emergono concetti come l’epifenomenismo, il funzionalismo, l’emergentismo, il connessionismo e l’interazionismo, ognuno con approcci unici alla comprensione della mente e del cervello.
Il dualismo delle sostanze, in particolare, mantiene un fondamento metafisico che può influenzare anche le prospettive religiose.
Essa considera la mente come una realtà irriducibile alla dimensione cerebrale, aprendo così la porta a dottrine religiose che affrontano la coscienza come un’entità separata e indelebile.

Per quanto concerne le dottrine monistiche, esse vengono divise principalmente in due categorie: l’idealismo e il materialismo. Da un lato, l’idealismo vede l’essenza dell’uomo come mentale, collegando la totalità dell’essere al pensiero. Dall’altro, il materialismo sostiene che tutto l’essere è materia, riducendo il pensiero al cervello o addirittura a un elaboratore elettronico.
Il materialismo, spesso associato a Karl Marx, definisce il pensiero come identico al cervello (significato riduzionistico), considerando le condizioni mentali come processi biochimici legati alla fisiologia cerebrale. Il fisicalismo (o materialismo), sostenuto da figure come Gilbert Ryle, applica il rasoio di Occam per eliminare l’ipostatizzazione della dimensione psichica, proponendo un approccio riduzionista ed eliminativista alla mente.

In questo intricato panorama, emergono correnti come il darwinismo neurale e il monismo neutro, ciascuna con la propria interpretazione sulla relazione mente-cervello. Gerald Edelman e Vernon Mountcastle, ad esempio, analizzano le connessioni neuronali e l’organizzazione del cervello sotto il prisma della selezione naturale, suggerendo che la mente sia il risultato di complessi processi adattativi.
Il monismo neutro, invece, sfida riduzionismo ed eliminativismo, proponendo che la realtà sia costituita da una dimensione unica che assume caratteristiche mentali e fisiche in base all’organizzazione delle sue componenti elementari.

L’appassionante e continua partecipazione dell’Uomo agli interrogativi sulla coscienza attraversa le epoche e permane pregnante nel suo significato più profondo indipendentemente dall’evoluzione dei mezzi di analisi a disposizione. Anche questo esprime l’immensità di quello spazio del possibile che è la più intima natura umana.

Immagine di copertina: dettaglio di Disc-Relief (1936), Robert Delaunay (French, 1885-1941) – artvee.com

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