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In primo piano aprile 2024

“Criteri per la validità secondo le diverse scuole buddhiste tibetane” di Ven. Geshe Jampa Gelek – livello avanzato

Geshe Gelek ha risposto a quattro domande di approfondimento inerenti il tema della cognizione valida illustrando con grande dettaglio tecnico le differenze esistenti nelle diverse scuole. Un contributo certamente apprezzato da lettori con conoscenze avanzate in ambito buddhista.
Epistemology Geshe Jampa Gelek
detail of: Untitled (Textile design no IV) (circa 1925), Frances Hodgkins (New Zealander, 1869-1947) artvee.com

per la traduzione dal tibetano si ringraziano Atisha Mathur e Davide Lionetti

Qual è la definizione e quali sono le divisioni della cognizione valida (pramāṇa) secondo le scuole Buddhiste e quali le differenze fra loro?
Dai sistemi filosofici buddhisti Vaibhāṣika fino ai Madhyamaka Svātantrika la cognizione(1) valida è pervasa dall’essere una realizzazione nuova mentre per i Prāsaṅgika la cognizione valida non deve necessariamente essere una realizzazione nuova e per loro si può asserire una mera coscienza non ingannevole come cognizione valida. Qui il punto importante riguarda due ragioni diverse, la prima è la seguente: la ragione per cui dai Vaibhāṣika fino ai Madhyamika Svatantrika si dice che la cognizione valida deve necessariamente “realizzare in modo nuovo” è che nella lingua sanscrita la parola è pramāṇa e la prima parte pra– corrisponde al significato di primo e l’altra parte māṇa viene spiegata come conoscenza quindi una prima conoscenza e per questo motivo si dice che deve essere non ingannevole e che realizza in modo nuovo e viene data quindi questa come ragione.

Il glorioso sistema Prāsaṅgika dice che questa parola pra– può avere vari significati: primo, principale, superiore e così via, quindi è possibile intenderla come principale. Perciò, una coscienza che non è ingannevole rispetto al proprio oggetto principale è una cognizione valida. Questi diversi modi di definire la cognizione valida vengono da diversi modi di interpretare la parola sanscrita pramāṇa.

La seconda ragione è la seguente: dal sistema Vaibhāṣika fino al sistema Madhyamaka Svātantrika si dice che se qualcosa esiste deve esistere “per la propria essenza, per propria natura”. Se qualcosa esiste, quando si cerca la cosa di cui si tratta, dev’essere trovabile qualcosa di reale al di là della mera designazione. Se qualcosa non rispetta queste condizioni allora non può essere asserito come esistente a livello convenzionale. Secondo il sistema Prāsaṅgika invece se qualcosa esiste, è meramente designato da una parola. Al di fuori della sua esistenza nominale, non è possibile trovare un’essenza che non sia imputata nel momento in cui viene ricercato l’oggetto designato1. A causa di questa differenza ontologica, vediamo due diverse visioni, diverse rispetto all’oggetto di negazione, e questo è il punto principale.

Perciò dai Madhyamaka Svātantrika in giù si dice appunto che una cognizione per essere valida dev’essere una realizzazione nuova. Per loro, non si può asserire come cognizione valida solo una coscienza che non è ingannevole e considerata valida secondo le convenzioni mondane. In più, siccome si asserisce che quando si cerca l’oggetto designato questo deve essere trovato come qualcosa non meramente imputato, si dice che la cognizione valida deve essere una realizzazione nuova [di questo tipo di esistenza]. Per i Prāsaṅgika non è così; così come le convenzioni mondane considerano una coscienza valida quando non è ingannevole, allo stesso modo il sistema Prāsaṅgika accetta la presentazione delle convenzioni mondane. Quando il glorioso Candrakīrti nel Madhyamakāvatāra dice: “Non distruggete le convenzioni mondane” vale a dire che dai sistemi filosofici degli Svātantrika in giù contraddicono la presentazione che è in accordo con le convenzioni mondane. Ciò che è accettato secondo le convenzioni del mondo è accettato anche dal sistema Prāsaṅgika. Candrakīrti dice: “Le persone mondane dibattono con me ma io non dibatto con le persone mondane perché ciò che è accettato dalle persone mondane lo accetto anch’io”. Il punto importante riguarda la differenza di come lo stato ontologico delle cose viene descritto dai Prāsaṅgika e altri dove i Prāsaṅgika accettano un’esistenza meramente nominale. Arrivano a questa conclusione perché accettano che non si può trovare qualcosa che esiste oggettivamente quando si cerca il referente delle parole (nomai) e i pensieri (imputazioni, designazioni).

Per quanto riguarda l’enumerare in due tipi la cognizione valida e quindi dividerla in 1) cognizione valida diretta e 2) cognizione valida inferenziale, questo ha a che fare con la suddivisione in due degli oggetti di conoscenza. Questa divisione e uguale per tutti i sistemi filosofici buddhisti. Dai Madhyamaka Svātantrika in giù tuttavia questa divisione in due delle cognizioni valide riguarda la suddivisione degli oggetti di conoscenza nelle due suddivisioni di fenomeni generalmente caratterizzati e fenomeni specificamente caratterizzati. Mentre per i Prāsaṅgika siccome gli oggetti di conoscenza si suddividono in fenomeni manifesti e fenomeni nascosti, la cognizione valida si suddivide in cognizione validità diretta e cognizione valida inferenziale. Tutti prendono come ragione la suddivisione in due degli oggetti di conoscenza per suddividere in due la cognizione valida. Gli oggetti di conoscenza però, che sono parte delle due suddivisioni, sono diversi secondo le due spiegazioni quindi nel testo radice del Pramāṇavārttika si dice: “da due oggetti di conoscenza, due cognizioni valide” e quindi in questo modo la cognizione valida che prende come proprio oggetto gli oggetti di conoscenza che sono fenomeni specificamente caratterizzati è una cognizione valida diretta e la cognizione valida che prende come proprio oggetto gli oggetti di conoscenza che sono fenomeni generalmente caratterizzati è la cognizione valida inferenziale e quindi si suddivide in questi due modi la cognizione valida. Invece per i Prāsaṅgika, dividendo gli oggetti di conoscenza in fenomeni manifesti e fenomeni nascosti, la cognizione valida che conosce gli oggetti di conoscenza manifesti senza dipendere da un segno è una cognizione valida diretta mentre la cognizione valida che conosce gli oggetti di conoscenza che sono fenomeni nascosti in dipendenza da un segno, questa è la cognizione valida inferenziale. Quindi nel sistema Prāsaṅgika la definizione di cognizione valida diretta è una coscienza che senza dipendere da un segno corretto non è ingannevole rispetto al proprio oggetto principale mentre la definizione di una cognizione valida inferenziale è una cognizione che, dipendendo da un segno corretto, non è ingannevole rispetto al proprio oggetto principale.
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(1) designato, nominato e imputato sono usati come sinonimi.

Qual è la ragione per cui i quattro sistemi filosofici buddhisti devono asserire in modo diverso la definizione di cognizione valida diretta?
Nei sistemi Vaibhāṣika, Sautrāntika e Madhyamaka Svātantrika-Sautrāntika, la cognizione diretta è sempre non erronea. La ragione è che questi sistemi accettano gli oggetti esterni a differenza degli altri sistemi filosofici, cioè che una coscienza sia erronea rispetto all’apparenza dell’esternalità dei fenomeni. Accettando gli oggetti esterni, non asseriscono che una coscienza sia erronea rispetto all’apparenza degli oggetti esterni. Per la stessa ragione, anche [i Mādhyamika Svātantrika] non possono asserire l’apparire della vera esistenza a una coscienza sensoriale. Quindi ad esempio una coscienza visiva che apprende un vaso non è una coscienza erronea perché non è influenzata da cause di errore temporanee né da cause di errore prolungate. Per questo motivo accettano che questa coscienza visiva che apprende vaso sia una cognizione valida diretta e che sia non erronea. Ora i Cittamātra e i Madhyamaka Svātantrika-Yogācāra asseriscono che per quanto riguarda le cognizioni dirette queste possono essere sia erronee sia non erronee. Ad esempio questa coscienza visiva che apprende vaso è una cognizione diretta ed è anche una coscienza erronea. Il motivo per cui lo è sta nel fatto che, essendo influenzata dalle cause di errore prolungate che sono le impronte dell’ignoranza, gli oggetti appaiono come stabiliti esternamente e quindi questa coscienza è erronea rispetto al fattore di apparenza degli oggetti esterni. Perciò si dice che è una coscienza erronea e quindi questa è la differenza riguardo ai sistemi che rispettivamente accettano gli oggetti esterni e che non accettano gli oggetti esterni.

Il glorioso sistema Prāsaṅgika accetta gli oggetti esterni. Tuttavia asserisce una coscienza erronea nel senso che è erronea rispetto all’apparenza di vera esistenza. Ad esempio, una coscienza visiva che apprende un vaso è erronea rispetto all’apparenza del vaso che appare come se esistesse veramente. Per i sistemi Madhyamaka Svātantrika-Sautrāntika e Madhyamaka Svātantrika-Yogācāra, l’essere veramente esistente, che è l’oggetto di negazione, non può apparire alle coscienze sensoriali. La fonte di questa affermazione si trova nel distinguere le due verità dell’Ācārya Jñānagarbha. Lui dice che l’oggetto di negazione, l’essere “veramente esistente” non appare alle coscienze sensoriali. Questo è detto da Je Tsong kha pa, nel suo testo chiamato “Illuminazione dell’intento”, essere asserito dai Madhyamaka Svātantrika-Sautrāntika. Secondo il sistema Prāsaṅgika, la coscienza nel continuum di un essere senziente che realizza direttamente la vacuità non è una coscienza erronea. A parte questa, tutte le altre coscienze sono erronee e sono coscienze a cui appare l’essere veramente esistente. Quindi per quanto riguarda una coscienza che non è influenzata dalle impronte dell’ignoranza questa, nel continuum di un essere senziente, è una mente che realizza direttamente la vacuità e tranne questa tutte le altre menti sono influenzate dalle impronte dell’ignoranza. Se una coscienza è influenzata dalle impronte dell’ignoranza allora è pervasa dall’essere una coscienza a cui appare l’essere veramente stabilito e quindi diventa una coscienza erronea. Quindi per quanto riguarda la cognizione diretta, ci sono cognizioni dirette erronee e cognizioni dirette non erronee. Questo è un punto importante.

Poi per il sistema Prāsaṅgika in generale manifesto e diretto sono sinonimi quindi se qualcosa è diretto non deve essere necessariamente una coscienza. In più, per quanto riguarda le coscienze dirette ci sono quelle concettuali e coscienze non concettuali. Il punto principale per cui nel sistema Prāsaṅgika manifesto e diretto sono sinonimi è che in termini convenzionali mondani si intende diretto o manifesto allo stesso modo. Inoltre il glorioso Candrakīrti nelle chiare parole afferma: “Tutti gli oggetti che esistono nel mondo sono osservabili direttamente perciò non sono fenomeni nascosti. E quindi si asserisce come diretti quegli oggetti e le coscienze che possiedono quegli oggetti.” Perciò in questa citazione si dice che tutto ciò che esiste secondo le convenzioni del mondo è osservabile direttamente e quindi se qualcosa esiste si parla del termine diretto. Per questo motivo un vaso è un fenomeno diretto. E quindi viene detto che vaso e la coscienza visiva che apprende vaso sono insieme due fenomeni diretti. Quindi il motivo principale per cui viene detto che un fenomeno manifesto e un fenomeno diretto sono sinonimi è proprio perché lo si dice in accordo con le convenzioni mondane, per come è rinomato nel mondo senza quindi scartare le convenzioni mondane.

Perché la scuola Prāsaṅgika accetta che una cognizione possa essere sia valida che erronea rispetto allo stesso oggetto mentre le altre scuole vedono questo come una contraddizione?
La domanda riguardava i punti principali, le ragioni per cui tra il sistema filosofico Madhyamaka e i sistemi filosofici non Madhyamaka si asserisce oppure no come cognizione valida una coscienza che è erronea rispetto al proprio oggetto. Quindi dai Vaibhāṣika fino ai Madhyamaka Svātantrika, secondo questi sistemi filosofici, per essere una cognizione valida rispetto a un oggetto questa cognizione deve essere non erronea rispetto a quello stesso oggetto. Dal momento che una coscienza è erronea rispetto al proprio progetto allora non è possibile asserirla come valida. Invece nel sistema Prāsaṅgika, si può asserire come cognizione valida sia una coscienza che è erronea rispetto al proprio oggetto sia una coscienza che non è erronea. Quindi nel sistema Prāsaṅgika si accetta che una coscienza inferenziale, cosi come tutte le coscienze dualistiche, è valida rispetto a ciò che gli appare e allo stesso tempo anche erronea rispetto al suo oggetto. Quindi il discorso è più o meno lo stesso: alla fine si va a parare sull’accettare o meno che i fenomeni esistono per proprie caratteristiche(2).

Ad esempio da Svātantrika in giù se una cognizione è valida rispetto a un fenomeno allora deve essere non ingannevole rispetto a quel fenomeno. Invece nel caso in cui sia erronea rispetto a quel fenomeno diventa ingannevole rispetto a quel fenomeno. Quindi alla fine se una cognizione è valida rispetto a un fenomeno dev’essere una cognizione non erronea rispetto a questo oggetto che appare come se esistesse per proprie caratteristiche. Quindi, se una cognizione è valida rispetto a un oggetto, questo oggetto deve esistere per proprie caratteristiche e la coscienza deve essere non erronea rispetto all’apparenza del modo in cui esiste il fenomeno, cioè per proprie caratteristiche. Se la cognizione non è erronea rispetto all’apparenza del fenomeno che esiste per proprie caratteristiche, vale a dire che è una cognizione valida rispetto al proprio oggetto, il proprio oggetto dovrà esistere per proprie caratteristiche e dovrà essere una cognizione valida rispetto all’apparenza del fenomeno che esiste per proprie caratteristiche. Dovrà anche essere non erronea rispetto all’apparenza del fenomeno che esiste per proprie caratteristiche. Quindi, se una coscienza è erronea rispetto a questo fenomeno, non è possibile considerare questa coscienza una cognizione valida. Ad esempio in un sistema come quello Madhyamaka Svātantrika-Yogācāra, una coscienza visiva che apprende un vaso è erronea rispetto all’apparenza del vaso come oggetto esterno ma non è erronea rispetto al vaso [perché credono che il modo in cui esiste il vaso è per proprie caratteristiche e siccome appare cosi, la coscienza non è erronea rispetto al modo di esistenza del vaso]. Questo è quello che questo sistema asserisce. Quindi riguardo all’essere erroneo rispetto al vaso quando la coscienza visiva è una cognizione valida rispetto al vaso allora è una cognizione valida rispetto al vaso come fenomeno che esiste per proprie caratteristiche e se è una cognizione valida rispetto al vaso che esiste per proprie caratteristiche, allora deve essere non erronea rispetto al vaso e quindi qui si va a parare sul fatto che sia qualcosa che esiste per proprie caratteristiche.

Ora, siccome nel sistema Prāsaṅgika non è così, una cognizione per essere valida o non valida, erronea o non erronea, è spiegata [essere valida o non valida ecc.] solo perché è stata imputata in un modo o in un altro. Non giustificano [la validità della percezione] in base a un’esistenza dei fenomeni, sono reali/esistono per proprie caratteristiche. Per i Prāsaṅgika una coscienza visiva che apprende vaso, per esempio, è una cognizione sia valida che erronea rispetto al vaso perché a essa il vaso appare come veramente esistente. Siccome il vaso non è stabilito nel modo in cui appare, allora quella coscienza è erronea rispetto al vaso. Senza dover dire che questa coscienza è erronea rispetto all’apparenza della “vera esistenza” del vaso, dicono che è erronea rispetto a un vaso [siccome il vaso si presenta come] veramente esistente. Per i Prāsaṅgika, per essere una cognizione valida non è necessario che il fenomeno che percepisce deve esistere per proprie caratteristiche. Qual è la fonte di queste affermazioni? Je Tsong kha pa nell’Essenza dell’eloquenza dice: “In un sistema filosofico che asserisce che tutto esiste per propria essenza, non è possibile che una coscienza sia erronea rispetto a come appare il modo di esistere dei fenomeni -esistenti per proprie caratteristiche- e allo stesso tempo trovi il proprio oggetto. Quindi qualunque cognizione valida, che sia concettuale o non concettuale, dev’essere non erronea rispetto o a un oggetto apparente o a un oggetto determinato che esiste per proprie caratteristiche(3), che sono ciò riguardo a cui quella cognizione diventava valida. Perciò, per questo motivo la cognizione dev’essere valida e rispetto a un oggetto che non è solamente designato a livello convenzionale o nominale ma rispetto al suo modo di dimorare per propria natura o rispetto a una sua essenza. Questo è ciò che è accettato nel loro sistema”.
Questo è quello che ho da dire.
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(2)“esistere per proprie caratteristiche” (skt. svalaksana, tib rang mtshan) viene inteso come sinonimo di “esistere veramente’ e come opposto di “esistere per mera imputazione”.
(3) si distingue fra questi due tipi di oggetti perché nel Buddhismo si dividono le percezioni in dirette e concettuali. Una coscienza diretta come quella visiva che vede il colore blu ha come oggetto apparente e anche come suo oggetto di comprensione il colore blu. Questo perché le coscienze dirette si impegnano nelle cose così come sono senza nessun’altra cosa che impedisce la loro percezione. La coscienza concettuale che si impegna nel blu invece ha due oggetti diversi: l’oggetto apparente e un’immagine mentale di una generalità del colore blu quando invece l’oggetto con cui si impegna—il suo oggetto di comprensione—è il colore blu. Siccome il suo oggetto apparente è già accettato come non blu ma un’immagine concettuale del blu, tutte le scuole buddhiste accettano che l’oggetto apparente di una coscienza concettuale non è il blu che esiste per proprie caratteristiche. Per giustificare la mente concettuale che percepisce il blu come valida rispetto a una mente concettuale che percepisce un non-esistente, si rifanno all’oggetto di comprensione che dev’essere qualcosa che è reale/non-imputato/esiste per proprie caratteristiche. La citazione fa riferimento a questa distinzione.

Qual è la ragione per cui certe scuole si rifanno all’auto-conoscitore per giustificare la validità della percezione?
La ragione per cui certi sistemi accettano l’auto-conoscitore è la seguente: i fenomeni “potenziati da altro”(4) sono stabiliti per propria natura e la ragione principale è che tra i fenomeni potenziati da altro il principale è la mente che è stabilita per propria natura. Il punto focale a cui si arriva è che ciò che permette di stabilire che la mente è stabilita per propria natura è l’auto-conoscitore. Perciò quello che si chiama auto-conoscitore, ciò che fa esperienza della coscienza, deve essere non erroneo riguardo all’apparenza della coscienza come stabilita per proprie caratteristiche. Quindi in questo caso bisogna accettare una mente che non è influenzata da nessuna causa di errore e non è erronea rispetto al fattore di apparenza della coscienza com’è stabilita per propria caratteristica. Quando si cerca il referente dell’oggetto designato, lo si stabilisce in dipendenza dall’auto-conoscitore. Ad esempio l’oggetto blu, il fatto che esista convenzionalmente lo si può stabilire in dipendenza da una coscienza che apprende il blu, ma il fatto che il possessore di oggetto -la coscienza che apprende il blu- esista a livello convenzionale non è possibile stabilirlo sulla base del suo oggetto, il blu. La ragione è che mentre è possibile stabilire l’oggetto in dipendenza dal possessore di oggetto, non è possibile stabilire il possessore di oggetto in dipendenza dall’oggetto. È necessario, quindi, asserire un auto-conoscitore tramite il quale viene stabilito questo possessore di oggetto. Siccome bisogna stabilire un oggetto al momento in cui viene cercato, allora si va a parare sull’auto-conoscitore.

C’è ancora una cosa da aggiungere, nel sistema Vaibhāṣika ciò che è diretto non deve necessariamente essere una coscienza. La facoltà sensoriale dell’occhio è un fenomeno diretto valido e la fonte di questo nel sistema Vaibhāṣika si trova nell’Abhidharmakośa in cui si dice: “Gli occhi vedono le forme, la coscienza che è supportata da ciò che è in relazione no, perché la forma ostruita non viene vista”. E quindi quando si parla del vedere la forma da parte della coscienza visiva, la forma non è vista solamente dalla coscienza visiva. In dipendenza dal vedere la forma da parte della facoltà dell’occhio, la coscienza visiva vede la forma. Se fosse solo la coscienza visiva a vedere la forma, allora dovrebbe vedere tutte le forme ostruttive ma non le vede. Questo perché la facoltà sensoriale dell’occhio non vede tutte le forme ostruttive. Siccome la facoltà sensoriale non le vede, allora la coscienza visiva non le vede. Quindi c’è una facoltà sensoriale dell’occhio ed è in dipendenza dal vedere la forma da parte di questa facoltà sensoriale che la coscienza visiva vede la forma. Per questo motivo la facoltà sensoriale dell’occhio è un fenomeno diretto valido e quindi in questo sistema, utilizzando questo come ragione, viene detto che ciò che è qualcosa di valido diretto non dev’essere necessariamente una coscienza.
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(4) certe scuole come i Cittamātra parlano di tre tipi di fenomeni: fenomeni imputati, fenomeni potenziati da altro (dove “altro” riferisce alle sue cause, questi fenomeni sono le cose che sono prodotte da cause) e fenomeni pienamente stabiliti (che è la natura finale delle cose—la vacuità—il modo in cui esistono veramente).

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